Con il vento nelle mani |
Rispondendo allo Zio Power…
CON IL VENTO NELLE MANI
Sto scrivendo sul mio pc
portatile, mentre il fumo del mio sigaro (quello da accendere nei momenti
speciali) avvolge il monitor e le note di
“The Zephyr Song” dei Red Hot Chili Peppers nascondono appena, il rumore
delle mie dita sulla tastiera del computer.
”….sì, la voglia di alzarsi alle
4:30 il sabato e la domenica mattina, la voglia di buttare una buona parte
dello stipendio in tavole e vele, la voglia di perseguire obiettivi che spesso
richiedono anche un anno per essere raggiunti, la voglia di aspettare da
Antoine, al freddo, un vento che ti fa armare perché sembra buono e poi non ti
fa planare neanche con la 6.2. Sento spesso dire “Faccio surf da 8 anni, ma in
modo incostante e…ho pure smesso per un paio di stagioni”. E’ normale chiedersi
se una passione non diventi a un certo punto una schiavitù, non diventi
“stretta”, assillante. E ti guardi attorno al parcheggione e vedi gli occhi
degli altri brillare di entusiasmo, mentre tu ti chiedi “..ma chi me lo ha
fatto fare?!”. Un giorno della scorsa estate ero a Malcesine appoggiata alla
mia macchina in compagnia di Lucio Buono, Nikyta e Stè….stavamo aspettando il
vento, faceva ancora freddo e il sole era ancora nascosto dal Monte Baldo.
Sulla ciclabile vicino a noi sono passati due ragazzi che facevano joggin, in
calzoncini corti, sudati. E Stè fa: “Ma chi glielo fa fare a questi di alzarsi
presto per andare a correre con questo freddo?!”…ci siamo guardati e la risata
è sorta spontanea… Staranno pensando la stessa cosa di noi poveri “peleriani”.
Dopo aver letto le considerazioni
dello Zio Power, provenienti da una saggia moderazione e da un’esperienza
surfistica che va oltre me e il mio piccolo mondo, ho sentito dentro un senso
di rivalsa e di rivendicazione, che ora mi porta qui a scrivere del perché io
riesca a trovare una contro risposta a tutte queste riflessioni. Ovviamente
parla la voce della mia irresponsabilità, del mio egoismo e della mia follia,
arricchita da un pizzico dell’entusiasmo che anima normalmente tutti i più
giovani “figli di Eolo”. Nonostante ciò, per natura sono così imprevedibile e
inquieta che, non ci sarebbe da stupirsi, se un giorno si sentisse dire che
Hookipa si è data all’hokey e ha mollato il windsurf.
Botta e risposta dunque…
Univocità di interessi.
E’ da considerarsi una schiavitù
uno sport per il quale ti brillano gli occhi mentre ne parli? Possiamo fare
palestra il lunedì sera, giocare a basket il mercoledì e ballare latino
americano il venerdì, ma spesso ci siamo dedicati a uno sport per scolpire il
corpo o dimagrire o perché, se proprio non lo avessimo fatto, ci saremmo
sentiti pigri e in colpa per esserci lasciati andare alle pantofole. Ma chi ha
scelto proprio il windsurf per “mantenersi in forma”? Più spesso accade che
conosciamo persone alle quali brillano gli occhi mentre ci raccontano del
windsurf….e ci incuriosiscono, perché sono spesso persone che fanno altri
sport, ma solo parlando di questa attività trasmettono entusiasmo. Ci siamo
chiesti quale sia la forza che li trascina fuori da un letto caldo il sabato
mattina, cosa li spinga a dedicare spesso week end interi a una sola attività.
E’ questo che rende un surfista affascinante…il fatto che sia completamente
assorbito nel suo sport. Sì, è giusto dedicarsi ad altri interessi, magari
culturali e sociali, passioni che nutrano la mente e lo spirito….ma se in me
c’è una spinta che è in grado di tirarmi giù dal letto alle 4:30 o di farmi
dormire in macchina in un parcheggio, significa che la devo ascoltare, perché è
raro trovare spinte emotive e passionali del genere in un essere umano. E’ un
po’ come l’amore: c’è un momento nella vita di un uomo (o di una donna) in cui
esiste una sola donna (o viceversa un solo uomo) che ha un potere immenso su di
lui/lei. Focalizzarsi su ciò che dentro ci anima più di altre cose, non è una
schiavitù, bensì la tendenza istintiva degli uomini ad ascoltare le pulsioni
che li fanno sentire vivi.
Gestione delle relazioni interpersonali.
E’ vero. Non è stato bello quando
sono arrivata al battesimo di mio nipote con la tavola ancora sulla macchina e
con i capelli semibagnati, perché avevo voluto a tutti i costi prendere il
peler quella domenica mattina di agosto ed ero riuscita appena a passare da
casa per una doccia fugace. Poteva sembrare che non me ne fregasse niente. Ma
sono arrivata in tempo! Ed ero sorridente e con addosso quello che io chiamo
“entusiasmo chimico da 4.7” che ti lascia una surfata, per quanto rubata e
breve. Se avessi saltato quell’uscita, sarei arrivata in chiesa con un certo
appiattimento emotivo e tutti attorno a me ne avrebbero risentito. Cercare il
compromesso nelle relazioni famigliari e interpersonali, adeguando l’esigenza
di praticare windsurf all’esigenza di non isolarsi, sarebbe ottimale. E’ anche
vero però che il sacrificio, se si decide di farlo, deve essere sentito e non
imposto. Talvolta i malumori in famiglia o nella coppia per motivi
“windsurfistici”, penso derivino da incomprensioni e mancanza di condivisione.
Raccontare ai nostri amici o ai nostri cari dell’eccitazione che proviamo
quando siamo in compagnia e aspettiamo il vento o descrivere le sensazioni
provate durante una planata, è un ottimo modo per condividere con loro il
nostro entusiasmo e renderci un po’ meno “invasati” ai loro occhi. Le persone
care, in quanto tali, potranno apprezzare la luce che si accende nei vostri
occhi mentre parlate del vostro sport o del vostro tentativo di vulkan. Pensare
di non condividere con loro tutto il nostro mondo per la presunzione di credere
che “tanto non potranno capirci”, rende le nostre relazioni interpersonali
aride e ci porta, alla fine, a costruire i rapporti su sacrifici non
riconosciuti nella loro portata.
Lavoro vs windsurf.
Il lavoro nuoce gravemente alla
salute. Talvolta è gratificante e spesso da sfogo alla nostra creatività (cose
che comunque può fare anche una shaka). Il problema è che è necessario….anche
per praticare il windsurf. No money, no board. Il senso di responsabilità è
molto personale e individuale. Lasciare il lavoro alle 14 con una scusa perché
arrivano gli sms di una botta in corso di Ora….è a dir poco….eccitante! Con la
gioia di un bambino che corre al parco giochi….voliamo via dal lavoro e in
trenta secondi la macchina è carica! Solo la magia dell’entusiasmo può spingere
un adulto a dimenticare per un attimo di essere tale. A questo poi si aggiunge
l’energia dell’inatteso e la passione del “proibito”.Umanamente, quando questa
irresponsabilità la pagano altri (clienti, datori di lavoro, dipendenti, ecc)
non è più così eccitante, perché si surfa con la zavorra del senso di colpa,
quindi perde potere. Altra questione: chat e siti windsurfistici. Lavorare al
pc con la tendina di skype che ogni tanto si illumina con “Ciao, hai surfato
sto week?”, rende il lavoro meno “serio” e talvolta direi meno “gravoso”. Un
giorno ero al lavoro e un mio collega è passato dietro al mio pc mentre
guardavo windfinder….mi fa “Scusa, ma che ti frega di sapere che il posto più
ventoso ora è…..il Sud Africa?”…”Niente…è bello sapere che qualcuno ora di
sicuro è là e non sta perdendo tempo a lavorare come me!”.
Delusione vs rabbia.
La rabbia per il vento che
“sembrava ci fosse”, le vacanze con 7 giorni di inusuale bonaccia a Tarifa,
l’armare la 5.0, uscire di corsa e poi tornare a nuoto perché è calato….Sì, la
frustrazione e la delusione, sono emozioni provate da tutti i surfisti. Ma direi
che è grazie a queste esperienza che abbiamo anche imparato e consolidato
dentro di noi il concetto di “natura”. Sapere che bisogna saper aspettare il
momento giusto, che non si può avere sempre tutto quello che si vuole, imparare
a gestire la frustrazione di “quando serve e non c’è mai”. Un surfista impara a
non prendersela se ha fatto chilometri per una cilecca. Un surfista non ha la
giornata rovinata, perché si è comunque trovato con gli amici, all’aria aperta,
e ha passato un po’ di tempo in un ambiente che trova stimolante e nel quale ha
l’occasione di conoscere sempre gente nuova. Essere windsurfisti è anche una
filosofia….il windsurfista cavalca il vento….non cerca di domarlo o di usarlo. Sa che è un fenomeno della natura,
sa che può essere previsto, ma solo fino a un certo punto e questo lo rende
affascinante. Un surfer sa aspettare il vento, magari in spiaggia, provando ad
armare la nuova e mai usata 3.7 o magari al negozio di surf dove sono arrivate
le nuove tavole con uno shape innovativo. Più spesso sa aspettare il vento in
silenzio sul molo, scrutando la “riga” all’orizzonte che non si avvicina mai o
le “ochette” che sembrano incalzare solo sulla sponda opposta, e mentre
aspetta, il suo sguardo si perde….dalla sua mente viene spazzata via ogni
pensiero di vita quotidiana, ogni problema giornaliero. Poi alla fine deve
trovare il coraggio di arrendersi al suo destino…oggi non si surfa, si torna a
casa….ma, non con rabbia o rassegnazione, bensì con la serena accettazione di
un volere tanto grande quanto sublime….quello della natura.
Competizione vs competitività.
Per qualcuno il windsurf è uno
sport di gruppo, per altri è uno sport individuale. Qualcuno non va neanche al
lago se non ci sono anche gli amici, qualcuno va al lago da solo, si fa la sua
surfata e torna a casa dalla famiglia senza sentirsi mai parte di una tribù. In
ogni caso la vera sfida che questo sport propone è verso se stessi. Siamo
continuamente in competizione con le nostre capacità. Principianti o pro,
ciascuno di noi ha sempre davanti un numero di obiettivi da raggiungere. Il
fascino del windsurf è forse proprio il fatto di essere stimolante ad ogni
livello. Rende la mente continuamente sotto spinta….fatta la heli tack, già
pensiamo a come si farà la push tack…in un vortice di continuo miglioramento e
sfida. Perché? Per arrivare dove? Ma niente…il bello non è sempre nella meta,
talvolta è racchiuso nella strada percorsa per raggiungere la meta. Il provare
continuamente lo stesso esercizio, magari facendo uno studio di dinamica con
gli amici sulla spiaggia per capire dove c***o stiamo sbagliando, sentire i
vari consigli, studiare i video, per poi alla fine magari riuscire a chiuderla
per puro caso….e non riuscire più a ripetere il miracolo.
Vedere altri amici che chiudono
manovre che per noi sono un sogno lontano, talvolta, è vero, scatena invidia,
ma credo più spesso susciti ammirazione e sia di stimolo e incoraggiamento. Chi
non ha pensato almeno una volta “Se ce l’ha fatta lui, ce la posso fare
anch’io!”.
Quindi competitività pericolosa?
No, forse più spesso è stimolo e incoraggiamento.
La nostra attrezzatura.
C’è chi spende tanto ogni anno per
cambiare tutta l’attrezzatura sostituendola con le ultime novità. C’è chi usa
la stessa vela da anni perché ci si è affezionato e perché ci si trova bene.
Non tutti possono fare follie per questo sport, che, non c’è che dire, è caro!
Credo che la via di mezzo sia sempre la strada migliore, però quanto bello è
andare al negozio e guardare le tavole nuove chiedendo che vantaggi da lo shape
nuovo, confrontando i prezzi, i modelli e cercare qualcosa che risponda alle
nostre esigenze (che in genere sono “che plani subito, mi segua in manovra, sia
leggera, resistente, nuova, costi poco e…magari si leghi sul portasurf da
sola”)? Discutere con gli amici della “mia vecchia tavola”, la “mia nuova
vela”…meglio questo marchio, no, meglio l’altri. Sono i soliti discorsi fatti
di linguaggio tecnico che gli altri (quelli che non fanno surf) non possono
capire; discorsi che ci fanno sentire un po’ esperti…un po’ tribù…un po’
“mona”, quando ci accorgiamo di sganciare assegni di 500€ al colpo per un pezzo
di polistirolo rivestito di carbon kevlar….ma ci gratifica allo stesso tempo
aver dedicato una parte dei nostri risparmi per farci “un regalo”, che in qualche
modo sentiamo sempre di meritarci.
Il senso del limite.
Talvolta siamo così travolti dalla
corsa al vento che sopravvalutiamo le nostre capacità, il nostro livello, le
nostre forze fisiche e ci buttiamo seguendo la folla. O semplicemente sappiamo
che sarebbe più facile sopportare il rimorso di aver fatto una faticata per
niente e rotto l’attrezzatura, piuttosto che tollerare il rimpianto di non aver
neanche armato, di non aver neanche provato a uscire in uno spot un po’ più
difficile del nostro? C’è da dire poi che talvolta abbiamo provato più
soddisfazione, rimanendo sulla spiaggia, per aver riconosciuto che le
condizioni erano proibitive, piuttosto che l’essersi comportati da c******i,
uscendo per fare “quello che c’era”. Non oso comunque immaginare la scarica di
adrenalina di chi è uscito con 40 nodi riportando a casa la pelle e
l’attrezzatura! Deve essere paragonabile a quella di uno che si butta da un
ponte con indosso un paracadute del 1902 che forse si potrebbe anche aprire. Ma
sono estremi e in quanto tali, fanno solo rumore. Quello che rimane dentro del
windsurf è spesso un insieme di sensazione derivate dalle uscite di routine: la
forza del vento tra le mani, gli schizzi d’acqua sulla faccia, il primo raggio
di sole che sale dal Baldo, il suono indimenticabile della tavola che plana….
Le uscite che ciascuno ricorda di più poi in genere sono quelle che ci hanno
colto in momenti particolari della nostra vita, quelle che ci hanno cambiato
l’umore da nero a luminoso, quelle che sembravano banali, invece si sono
rivelate terapeutiche e catartiche…le uscite durante le quali abbiamo sentito
di essere…vento.
Spero che le mie impressioni e le
mia parole, assumano la forma di un invito, che, mescolandosi all’esortazione
dello Zio Power alla moderazione, vi spinga a riscoprire in voi il sano piacere
di una semplice planata, leggera, senza pensieri, dove la vostra anima si fonde
per un lungo momento con la forza della natura e vi trasforma in…gabbiani.
“…ci sono bordi che valgono una vita”
Hookipa
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