Windsurf: passione od ossessione? |
WINDSURF: PASSIONE OD OSSESSIONE?
Quante volte avremmo voluto
continuare un sonno ristoratore nel caldo tepore delle nostre coperte (magari
mentre stavamo pure facendo qualche bel sogno) anziché rotolare giù dal letto
prima dell’alba al suono lacerante di una sveglia o al tono penetrante di un
sms che annuncia vento?
Quante volte ci siamo sobbarcati
ore e chilometri in auto (magari nella nebbia, o in coda, o in strade
disagevoli) solo per cercare di prendere qualche onda?
Quante volte abbiamo dovuto
rinunciare a qualcos’altro che ci piaceva o di cui avevamo bisogno o che
avremmo desiderato fare perché una vela nuova ci aveva drenato le risorse
finanziare necessarie?
Quante volte abbiamo dato buca ad
amici che ci aspettavano perché improvvisamente si è alzato il vento?
Quante fidanzate/i ci siamo giocati
perché li abbiamo costretti a seguirci e ad aspettarci al freddo e al vento, su
furgoni scomodi o sul sedile posteriore di un auto stracolma di attrezzature
surfistiche e dal nauseabondo olezzo di muffa prodotto dalla muta bagnata?
Anche a causa di situazioni come
queste, spesso siamo additati dalle persone esterne al nostro mondo come dei
pazzi, come dei malati. Noi sorridiamo di fronte a questi appellativi perché in
fondo ci fanno sentire di essere qualcosa di speciale, che si distingue dalla
massa, una specie di tribù. Anche se rifiutiamo di sentirci effettivamente
tali. Ma siamo proprio sicuri che quelle persone non abbiano ragione? Siamo
sicuri di non essere davvero “deviati”? Esiste una linea di confine oltre la
quale una sana e positiva passione traligna in una nefasta ossessione?
Ho fatto qualche riflessione in
proposito e ho identificato alcuni segnali che secondo me sono indice di tale
degenerazione.
Univocità di interesse.
Il windsurf per molti di noi è
l’interesse principale (escludendo ovviamente dal discorso i bisogni primari
quali il cibo e la gnocca). Non aspettiamo altro che il fine settimana o una
festività per poter finalmente dirigerci al nostro amato lago (mare) ad
aspettare il vento. Bellissimo, non c’è che dire. Ma nel momento in cui esso
diventa l’unica nostra meta, lo scopo ultimo della nostra vita allora diventa
un’aberrazione. L’esistenza è fatta di molte cose e l’essere umano non è
completo se non si lascia permeare da esse. Ci sono tantissime espressioni, che
arricchiscono l’uomo nella sua conoscenza, nel suo spirito, nel suo animo:
l’arte, la cultura in genere, la scienza, la manualità, il viaggiare, il
volontariato e così via. Coltivarle tutte è oggettivamente impossibile e
velleitario, ma ognuno di noi dovrebbe cedere a qualche inclinazione che sente
di avere. Se così non fosse allora rimarremmo delle persone limitate e
incompiute. Se ci accorgiamo che il windsurf sta focalizzando tutta la nostra
attenzione ed assorbendo tutta la nostra energia allora c’è qualcosa che non va.
Dedicare molto tempo al windsurf è cosa buona e giusta perché ci consente di
ricaricarci. Diventarne schiavi è cosa deprecabile perché ci rende
inevitabilmente chiusi e “poveri”.
Gestione delle relazioni
interpersonali.
Il windsurf, per sua natura, causa
notevoli problemi nella gestione dei nostri rapporti con gli altri.
L’aleatorietà del vento, le notevoli distanze che spesso devono essere coperte
per poterlo praticare, le condizioni ambientali oggettivamente poco
confortevoli che frequentemente dobbiamo affrontare, sono tutti elementi che
mettono a dura prova le nostre relazioni con familiari, compagne/i, amici. Noi
richiediamo a loro una buona dose di pazienza, che loro sono soliti concederci
(ritengo giustamente) in virtù dell’amore che li lega a noi e della
comprensione dell’importanza che il windsurf ha per la realizzazione della
nostra persona. Da parte nostra non dobbiamo mai scordarci di essere grati a
chi ci sta vicino di concederci la libertà di praticare senza condizionamenti
la nostra passione. E non dobbiamo abusare di questa libertà. E’ sbagliato
mettere in secondo piano i rapporti umani, sacrificandoli al mero sfogo del
nostro desiderio (che perciò diventa ossessione) di entrare in acqua a prendere
un po’ di vento. Se il windsurf diventa il fulcro attorno al quale ruota la
nostra esistenza allora i rapporti umani sono destinati ad inaridirsi e, a poco
a poco, a morire, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Siamo sicuri di volere
questo? Siamo sicuri di voler essere così egoisti da mettere a repentaglio le
nostre amicizie, le nostre famiglie in nome del soddisfacimento di un piacere
in fondo così effimero? Saper rinunciare qualche volta a momenti di godimento
personale è segno di libertà interiore e strumento per salvaguardarci dal
rischio di ritrovarci un giorno abbandonati e soli.
Lavoro vs. windsurf.
Il vento, lo sappiamo bene, è
capriccioso, financo dispettoso. Si presenta quando vuole lui e spesso, per le
note leggi sulla sfiga, poche volte nei nostri momenti di tempo libero e
principalmente nei momenti in cui siamo occupati nella nostra quotidiana
attività lavorativa. In questi periodi ci si aspetterebbe di trovare i nostri
specchi d’acqua imbiancati da una miriade di “ochette” anziché dipinti dai
colori sgargianti delle vele. Eppure,
anche nei giorni feriali, anche quando le persone dovrebbero essere impegnate a
creare PIL, quando c’è vento il lago è sempre pieno di surfisti che sfrecciano.
Ora, lungi da me infilarmi in discorsi pseudo socio-filosofici sulla priorità
della realizzazione della persona umana e sui condizionamenti che ad essa pone
il dover dedicare la maggior parte del tempo attivo ad una attività lavorativa
spesso frustrante e limitante. Io sono perfettamente d’accordo sul fatto che
una bella surfata sia immensamente più gratificante di qualche ora passata “a
produrre”. Sono anche perfettamente consapevole del fatto che ci siano persone
più fortunate di altre che, grazie alla natura della loro occupazione, godono
di una flessibilità che consente loro di approfittare di qualche inaspettato
regalo di Eolo. Per cui sono solo contento quando vedo che tutte queste persone
riescono a dare sfogo alla loro passione durante qualche “extra time”. Ma
ritengo anche che ci sia un senso del dovere che debba essere rispettato, una
professionalità che debba essere garantita. Non sta a me giudicare se e quando
sia eticamente corretto chiedere mezza giornata di ferie da lì a cinque minuti
perché un sms ci ha avvisato che è entrato il Nord, prenderci mezza giornata di
permesso per donare il sangue quando le previsioni danno favonio, rimandare un
appuntamento di lavoro per raggiungere gli amici al lago. Questo sta alla
coscienza di ognuno. Ma mi chiedo anche se faremmo la stessa cosa per
accompagnare la/il nostra/o compagna/o a fare una visita medica, per stare
vicino ad un amico/a che ha bisogno di noi, per fare un favore a un familiare
che ce lo chiede. Credo che dare una risposta a queste domande ci possa aiutare
a capire se per noi il windsurf resti una passione o sia divento ormai
un’ossessione.
Delusione vs. rabbia
Quante volte ci è capitato di
arrivare al lago e trovare la “cippa”? Quante volte abbiamo percorso centinaia
di chilometri per raggiungere il mare e rimanere “a mollo” perché il vento cala
dopo un quarto d’ora? Quante volte abbiamo impostato una vacanza sulla base
delle statistiche del vento e, una volta sul posto, abbiamo dedicato la maggior
parte del tempo al turismo o alle bocce?
Anelare al momento in cui si possa
finalmente entrare in acqua e planare e vedere le proprie aspettative stroncate
da condizioni meteo avverse è sicuramente frustrante e demoralizzante. Di
fronte a questa eventualità diversi possono essere i modi di reagire. Da una
parte subentrano la delusione, la tristezza, il rammarico per l’occasione
perduta. Ma si rimane sereni e ci si sente allegri perché comunque ci si trova
in un bel posto, con i nostri amici a condividere momenti di divertimento e
spensieratezza in compagnia. Dall’altra si è colti da ansia, nervosismo, quasi
dal rancore nei confronti di un vento
che ci ha tradito e non si è fatto vedere. Si diventa intrattabili, irascibili
e non si ha voglia nemmeno di scherzare con le persone che sono vicino a noi in
questo momento avverso. Nel primo caso il windsurf rimane per noi una grande
passione, nel secondo è diventato indiscutibilmente un’ossessione.
Competizione vs. competitività.
Uscire in windsurf con gli amici è
quanto di più bello possa esserci. Condividere la propria passione con le
persone che si hanno care è qualcosa che non ha prezzo. Personalmente mi si
riempie il cuore quando vedo il Garda dipinto con i colori rossoneri delle
lycra dei Parassiti o il lago di Como tingersi del blu e arancio delle lycra
dei Webite. Un’uscita in compagnia è sempre qualcosa da ricordare. Ci si
diverte, ci si stimola reciprocamente, si entra in una sana competizione per
migliorare la nostra tecnica e le nostre capacità. Lo spirito che ci informa è
positivo e siamo felici quando vediamo che uno di noi ha raggiunto un
obiettivo, ha chiuso una manovra, ha fatto progressi notevoli. Così dovrebbe
essere sempre, ma a volte capita di entrare in una spirale perversa. La
competizione diventa competitività e ci porta a confrontarci con gli altri non
per progredire ma per primeggiare. Vogliamo a tutti i costi distinguerci e
allora le ripetute prove di chiusura di una nuova manovra diventano spasmodici
tentativi di mettere un ulteriore gradino di distanza tra noi e gli altri. E
quando abbiamo successo esultiamo più per l’esserci messi in evidenza nei
confronti degli altri che per la personale, intima gioia di essere migliorati e
aver raggiunto un obiettivo desiderato (mentre quando osserviamo un altro
chiudere una nuova manovra proviamo invidia anziché partecipare alla sua
felicità). Quando ci comportiamo così è
evidente che per noi il windsurf si è trasformato in ossessione.
La nostra attrezzatura.
Il windsurf è la nostra passione e
come tale dedichiamo ad esso gran parte delle risorse economiche a nostra
disposizione. Anche perché i nuovi materiali richiedono ormai investimenti
decisamente cospicui. Per acquistare una nuova vela o una nuova tavola spesso
dobbiamo fare sacrifici o comunque privarci della possibilità di fare altri
acquisti di diversa natura. “Ma una passione è una passione” - ci
giustifichiamo – “e quindi è giusto spendere soldi per il suo soddisfacimento.
In fondo si vive una volta sola, vale la pena di toglierci qualche sfizio…”.
Verissimo, però anche qui molto
spesso esageriamo. E’ proprio necessario avere sempre sotto i piedi la tavola
dell’anno n+1? Non possiamo proprio fare a meno di cambiare ogni anno l’intero
set di vele? E viceversa non è un po’ folle cambiare la tavola con cui ci siamo
trovati benissimo per acquistarne una nuova di cui spesso non abbiamo alcuna
garanzia di trovarci meglio rispetto a quella precedente (e la stessa cosa vale
per le vele)? Personalmente, quando compro una tavola o una vela e trovo un
buon feeling, le tengo fino al termine della loro vita utile. Anche perché mi
“affeziono” ad esse. Forse sono un po’ esagerato in senso opposto, ma credo che
chi ha l’abitudine di cambiare materiali tutti gli anni sia preda di una sorta
di ossessione, di un’ansia di avere sempre il meglio a disposizione, quasi che
essere visto con una vela dell’anno scorso lo venga fatto considerare “out”.
Sarà, ma io riesco sempre a divertirmi anche con la mia attrezzatura “datata”
(anche se ogni anno do il mio contributo alla crescita dell’economia
acquistando qualcosa per sostituire i materiali che si sono usurati). E quando
mi capita di andare in Francia e vedo gente che “fa i numeri” con tavole che
sembrano ormai assi da stiro e vele ancora in Mylar e Dacron, capisco che per
godersela ed essere gratificati non è necessario essere sempre “all’ultima
moda”…
Il senso del limite. Vento, vento, vento… Onde, onde, onde… Non desideriamo altro. Ma a volte capita che quando arriviamo sullo spot le condizioni siano proibitive. In senso assoluto ma anche in relazione alle nostre capacità personali. Che fare in queste occasioni? Certo sembrerebbe un peccato “sprecare” tutto quel ben di Dio che ci si para davanti agli occhi. Inoltre la sfida, il desiderio di portare un po’ più in là il nostro limite fa parte della nostra natura di esseri umani. Ma ha senso mettere a repentaglio la nostra incolumità praticando il nostro sport in situazioni di oggettivo pericolo? Possiamo dire di esserci divertiti quando siamo stati in acqua con 50 nodi e non siamo riusciti a fare 10 metri senza essere travolti dalla furia del vento? Cosa ne guadagna la nostra persona nel dire “Io c’ero!” in situazioni in cui si passa la maggior parte del tempo a farsi triturare da onde che con la loro potenza ci travolgono e ci costringono a lottare per la nostra sopravvivenza? In determinate circostanze la decisione di entrare in acqua va contro ogni ragionevolezza e diventa frutto di una mera ostinazione: è in questi casi che il windsurf diventa un’ossessione.
Il mio è un invito a tutti di fare un esame di coscienza e, se ci dovessimo riconoscere in una o più delle situazioni che fanno degenerare la pratica del nostro sport, a fare un passo indietro e tornare a riscoprire quello che è il windsurf in tutta la sua originaria purezza. Torniamo ad essere quei “soul surfers” che tutti siamo stati all’inizio della nostra attività, quando ci facevamo entusiasmare dalle emozioni meravigliose che provavamo le prime volte che sfrecciavamo planando veloci sull’acqua.
ZioRicky
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