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Mission to Cabo Verde 2006

Day 0
Alla fine decido di mollare il lavoro e aderire all’invito di Luca e Palma di trascorrere una settimana a Cabo Verde. Dopo un po’ di peripezie riesco a trovare biglietto e posto e quindi farò parte della spedizione. La partenza del volo è prevista per le 00,40 del 28 marzo: perfetto, faccio pure in tempo a godermi le specialità pasquali della mia mammetta (dei miei fratelli chef a dire la verità…).

Mi accordo per passare a prendere alla stazione di Bergamo Elena, un’amica surfista di Palma che viene da Padova. Alle 20,10 mi chiama: è arrivata. Alle 20,15 mi chiama di nuovo chiedendomi se ho un posto in più: in nemmeno 5 minuti ha già “rimorchiato” un kiter, anche lui destinato a Cabo Verde. Siamo a posto, ci portiamo pure “il nemico” in casa…

In realtà, Claudio si mostra subito un aquilonaro un po’ sui generis, molto “easy” ed estremamente gradevole e simpatico. Arrivati in aeroporto dobbiamo subito fare i conti con un primo contrattempo: l’aereo è in ritardo, la partenza viene spostata alle 4,00: fantastico, se il buongiorno si vede dal mattino… Non ci perdiamo d’animo, anzi l’umore è molto alto e la piccola compagnia che si è formata (con altre due ragazze cremonesi incontrate al parcheggio remoto) è molto carica: il tempo passa veloce in un clima di diffusa ilarità.

Il volo è tranquillo. Niente di particolare da segnalare se non la presenza di una hostess 57enne alta 1,50 per almeno 82 kg, che ci inquieta un po’ circa la qualità delle donne che troveremo a destinazione… Arriviamo a Cabo Verde, isola di Sal, di primo mattino e verso le 8 ora locale siamo sul taxi che ci porterà in albergo a Santa Maria. Il Leme Bedje si presenta grazioso, nulla più di decoroso, ma pulito, con il grande pregio di essere a 20 metri dal centro surf dove abbiamo noleggiato l’attrezzatura (rimando alla sezione “Cabo Verde pret-a-porter” per una più esauriente descrizione delle sistemazioni nell’isola). Siamo fuori dalla zona turistica dei villaggi. Qui la spiaggia è quasi deserta, bellissima, con una sabbia chiara e “gentile” (=non si attacca e non finisce dappertutto..). Una serie di ombrelloni di paglia ci protegge dal sole che “picchia”. Certo potevano farne qualcuno in più! Il limitato numero degli stessi infatti, ci costringeva ad una sorta di “semi occulta” battaglia quotidiana per la conquista di un po’d’ombra in quanto i tedeschi (molto poco “tedeschi” in questo frangente..) si alzavano sempre la mattina presto per occuparli con le loro cose e ciò ci costringeva a fare altrettanto per consentirci di trovare un po’ di riparo dal solleone durante la giornata...

 

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Day 1

La stanchezza per il viaggio e per le poche ore di sonno “in cascina” svanisce subito alla vista del mare cristallino, del centro surf e delle bandiere sferzate dal vento. Alle 10 facciamo il “check-in” ed entriamo in possesso del nostro materiale. Abbiamo optato tutti per la Fanatic Freewave 96. Dopo una breve studio dell’intensità del vento e dopo aver chiesto consiglio ai gestori del centro come vele io e Luca prendiamo la Disco 6,4, le ragazze optano per la 5,3 (Palma) e la 5,7 (Elena).

Il vento è da terra, molto rafficato a causa delle svariate abitazioni che hanno costruito (e stanno costruendo) lungo la striscia di terra costiera e che “s*no” il bel vento che soffia da nord est. Quando si arriva alla punta però (estrema sinistra sulla cartina), il vento si distende, crescendo anche di intensità. Qui ormai siamo in mare aperto e la superficie liscia come un olio su cui abbiamo planato fino a questo punto lascia il posto ad onde sempre più grandi (fino a 2m): sono onde da mare aperto e quindi non “cattive”, si formano e scompaiono nel breve volgere di pochi istanti. Certo però che fa una bella impressione vedersi formare improvvisamente davanti a sè un muro di 2 metri!... Poi però ti abitui e surfi in estrema tranquillità. Almeno dal punto di vista del vento, perché la vera preoccupazione qui sono gli squali!! Surfi sempre un po’ in agitazione, buttando l’occhio di qua e di là cercando di scorgere (o meglio, pregando di non scorgere!…) un’inquietante pinna triangolare emergere dall’acqua. Tutte suggestioni da cinematografo: infatti apprenderemo che gli squali, quando lo fanno, attaccano sempre da sotto e quindi hai voglia di buttare sempre l’occhio all’orizzonte: non serve a niente! Al centro surf comunque ci tranquillizzano: di squali ce ne sono veramente tanti, arrivano fino a riva, ma hanno talmente tanto da mangiare che si disinteressano completamente di ciò che “naviga” sul pelo dell’acqua. Inoltre essi si cibano solo di notte (dal tramonto all’alba) e quindi di fatto non c’è pericolo (scordatevi però romantici bagni notturni oppure surfate “soul”al chiaro di luna!...).

Nord

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Il vento “spinge” tutto il giorno. Surfiamo insieme, rimanendo nella zona piatta, lanciandoci in lunghi bordi veloci in un mare dai colori bellissimi, con tonalità di azzurro cangianti a seconda della profondità dell’acqua. Ci inseguiamo, strambiamo con raggi ora stretti e radicali, ora ampi e veloci. Le ragazze sono all’altezza. Palma all’inizio è un po’ timorosa, disturbata anche da un doloroso mal di schiena, ma poi si scioglie e plana che è un piacere. Elena è un perfetto connubio di potenza e grazia: molto “stilosa”, alta, lunga chioma bionda al vento è l’icona perfetta di uno spot per la promozione del windsurf: vederla surfare è un vero piacere per gli occhi.

 
Verso mezzogiorno il vento aumenta di intensità. Vorremmo uscire a cambiare le vele, ma la sperimentata complessità dell’uscita dall’acqua ci scoraggia un po’ (proprio davanti al centro surf infatti, il vento è caratterizzato da “mulinelli” impetuosi che spesso costringono ad optare per una paradossalmente più “comoda nuotata” verso riva negli ultimi 30 metri). Restiamo in acqua, soprainvelati, veloci come fulmini, veri animali da planata. Poi, stravolti (ad eccezione di Luca ovviamente) facciamo una pausa per mangiare qualcosa. Quindi di nuovo in acqua. Alla fine della giornata saremo stati fuori quasi 4 ore (per Luca aggiungere sempre un’ora in più…).

… La sera ci addentriamo nelle vie di Santa Maria, alla ricerca di un ristorantino segnalatoci da Barbara, una brava surfista romana che qui ormai è quasi una local (non mi è tuttora chiaro se è da considerarsi tale perché è innamorata del posto oppure di uno del posto…). Jo Banana è una stanzetta 4 x 5, con 6 tavoli in tutto. Ordiniamo il tonno (a Cabo Verde è veramente eccezionale) alla caboverdiana e, dopo una lunga attesa (caratteristica tipica qui), ci portano un invitante piattone: eccellente! Con 6,5 € ceniamo alla grande. Successivamente ci dirigiamo al Tam Tam, un locale dove ci dicono si ritrovino i surfisti. In realtà si tratta di un piccolo bar di proprietà di italiani, dove si ritrovano principalmente gli italiani stessi (pullulano a Cabo Verde…): niente di che, e infatti lo troveremo spesso desolatamente vuoto. Comunque questa sera è abbastanza affollato e consociamo molte persone: surfisti italiani, capoverdiani, semplici turisti, grazie soprattutto alle doti comunicative di Elena (senza che tu te ne accorga, dopo trenta secondi, è in grado di farsi raccontare la storia della tua vita…). Quindi torniamo in albergo, dove i letti attendono le nostre stanche membra per concedere loro un po’ di meritato riposo. Come primo giorno direi che non è stato niente male.

Day 2

Il vento appare subito meno intenso del giorno precedente. Abbiamo capito che, quando c’è, soffia dal mattino presto crescendo via via di intensità durante le ore centrali della giornata (fino a 1 metro meno di vela), per poi calare di nuovo progressivamente nel corso del pomeriggio (il limite per la planata con vele attorno alla 6,4 è verso le 3 ½ - 4). Surfiamo tutti poco più di due ore con vele leggermente più grandi rispetto al giorno prima (6,4-6,9). Il vento è ancor più rafficato e sinceramente il divertimento è di molto inferiore all’estremo godimento provato il giorno prima. Certo che planare in quell’ambiente meraviglioso appaga comunque notevolmente tutti noi …

… La sera nuovo giro per Santa Maria e cena al ristorante Cafè Kriol. Anche questo ci era stato segnalato da Barbara, ma questa volta le aspettative sono state deluse: qualità dei piatti appena sufficiente, non mi sento di consigliarlo ad alcuno. Dopo cena andiamo al Pirata, il locale più conosciuto di Santa Maria. Si presenta accattivante, ben arredato, con finiture e soluzioni ricercate: leggiamo subito la mano “nostrana” ed infatti scopriamo che anche qui la proprietà è di un italiano (un individuo rasta un po’ inquietante a dire la verità..). In questa serata è prevista la Capoeira, una danza di origine brasiliana molto accattivante e coinvolgente. Assistiamo allo spettacolo, che viene rappresentato ad un eccellente livello tecnico (Luca e Palma, più esperti in questo campo lo confermano – per riferimenti http://mypage.bluewin.ch/capoeira/index.htm?bottom.htm&3 ). Poi Palma, Luca ed io facciamo rientro in albergo, mentre le viveur Elena e Barbara tirano le 4 tra chiacchiere e ballo.

Day 3

Windguru ci ha preso anche oggi: il vento è leggero e non sembra garantire, anche nelle ore di maggiore intensità, la potenza sufficiente per planate soddisfacenti. Decidiamo quindi di affittare un pickup per effettuare un giro dell’isola. Non ne troviamo e ripieghiamo quindi su un taxi: scelta rivelatasi quanto mai felice perché, sebbene il pickup si presenti sicuramente più suggestivo e “adventure style”, nella pratica si dimostra decisamente meno confortevole a motivo del sole cocente che picchia duro sulla cocuzza e delle quantità industriali di polvere e sabbia che vi costringe a mangiare stando all’aperto. E poi volete mettere affrontare il deserto (o almeno ciò che qui chiamano così…) con una automobile normale? Questa sì è una vera avventura!...

Ci rechiamo nei tre posti che meritano almeno una breve visita. Espargos, la cittadina più grande di Sal (anzi, l’unica…), le saline di Pedra de Lume e la piscina naturale di Burracona.

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Espargos

 

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Le saline

 

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Burracona 

 

Di ritorno ci fermiamo nel mitico spot di Ponta Preta, una piccola baia inserita in uno spiaggione immenso, dove le onde si formano dal nulla creando prima un panettone e poi a poco a poco in un “tubo” bellissimo. I local ci raccontano della potenza di queste onde, che “spingono” letteralmente in maniera dirompente verso alcune piccole rocce presenti sulla sabbia. Solo alcuni top come Josh Angulo escono qua. Noi l’abbiamo vista in un giorno di calma, ma, osservando il modo in cui si formavano quelle piccole onde ed udendo il fragore con cui esse frangevano a riva, abbiamo intuito che razza di spettacolo della natura deve essere quel luogo durante una mareggiata…

 

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Ponta Preta

 

La sera, provati dalla lunga giornata “turistica” decidiamo di rimanere in hotel, dove è prevista una serata “Eat all what you can” a base di pasta e pizza (robi avresti dovuto esserci…). Nel complesso non è stata male: la pasta era veramente ok e anche la pizza non faceva rimpiangere quella nostrana. Apro una parentesi: in effetti a Cabo Verde hanno in generale un pane veramente buono. Normalmente è morbido, stile arabo, ma ne fanno di molte qualità. Mi permetto di segnalare quello al cocco della Padaria Cocô: un incrocio tra un panino e una brioches, spettacolare a merenda dopo le lunghe ore passate in acqua…

…Satolli, andiamo a dormire: per domani windguru segnala una giornata a 3 stelle…

Day 4

Le attese sono per una vento fino a 20 nodi! Come al solito, Luca è il primo ad entrare. Alle 10,00 estrae la 5,8 ed entra. I tedeschi come al solito attendono di vederlo in acqua. Secondo Sidney, un simpatico e brillante istruttore del centro surf, loro fanno sempre così perché non sanno scegliere la vela. E comunque poi preferiscono sempre uscire soprainvelati (tranne uno, un marcantonio che tutti i giorni prendeva vele più piccole delle nostre ragazze e non planava mai!?! Mah…). Io aspetto un poco, considerando che il vento rimane tutto il giorno, tende a crescere di intensità e che devo dosare coscienziosamente le mie limitate energie fisiche. Non resisto però molto ed estraggo la Superstar 5,7: date le condizioni del momento mi sembra un buon compromesso tra potenza e maneggevolezza.

E’ il giorno della verità: stasera sapremo se saremo riusciti a concludere le manovre dichiarate: carving 360° per Luca, switch stance jibe (strambata con i piedi al contrario) per me, strambata power per le ragazze.

Luca è in gran forma. Ormai abbiamo imparato a conoscere lo spot, i corridoi di vento, le zone d’acqua piattissima. Durante un bordo lo vedo arrivare a fuoco. Poggia, chiude la vela, si piega in avanti: la tavola “carva”, gira. I primi 180° sono andati, la vela è quasi distesa sull’acqua e la tavola ha ancora una buona inerzia. 270°: Luca porta l’albero viene in avanti, fa un’ulteriore leggera poggiata ed è fatta: 360°! E subito via di nuovo in planata. Bellissima: manovra fluida, pulita, leggera e precisa. Proprio davanti alla spiaggia: il sogno (malcelato) di ognuno di noi. Luca è strafelice e il riflesso dei raggi del sole rimanda a noi una scintilla colpendo lo smalto dei suoi denti che ridono…

Io fatico molto di più. Dopo alcuni vani tentativi dei giorni precedenti, in cui realizzavo di essere ben lontano dal successo, cominciavo a rassegnarmi all’idea delle mie scarse possibilità di chiudere la switch stance. Però non demordo. Oggi, con la vela più piccola e maneggevole mi trovo subito a mio agio. Decido quindi per un approccio a piccoli passi, cercando di perfezionare singolarmente le varie fasi della manovra. Dato che un errore che commettevo sempre era quello di non riuscire a non girare i piedi come nelle strambate normali (movimento ormai “involontario” ed automatico), cerco di chiudere la strambata con tutte e due i piedi ancora nelle straps. A questo scopo comincio con la duck jibe perché mi sembra più facile e naturale. Individuo una zona di acqua particolarmente piatta, entro veloce e “cattivo”, poggio, “pompo” addirittura per aumentare un po’ la velocità, mi butto col corpo in avanti e all’interno della curva lanciando la vela quasi contro il pelo dell’acqua, la riprendo sulle altre mura e via al lasco, planando per una decina di metri prima di “affondare” per la grande gioia. Che sensazione meravigliosa quella di planare leggero con il corpo tutto torto!... Il primo passo è fatto. Riprovo qualche altra strambata per affinare il movimento e soprattutto l’andatura in switch stance: la percentuale di riuscita è abbastanza elevata, sono pronto! Decido di tentare la manovra mure a sinistra, il mio lato “buono”. Mi lancio. Il movimento è sempre lo stesso solo che, anziché lanciare la vela verso l’acqua, la spingo con forza sulle altre mura. La riprendo, sono ancora in piedi: vaaaaaiiii! Devo migliorare però, devo chiuderla in planata! Faccio qualche altro tentativo così così, poi prendo la raffica giusta. L’acqua è un olio, il timing perfetto. Riprendo la vela dall’altra parte mentre sono tutto sbilanciato all’interno della curva. Riesco a stare in avanti, la tavola non affonda. Chiudo la vela e riparto a stecca per un lascone veloce in switch stance. Mi aggancio al trapezio, sono stabile e ben equilibrato. Faccio 200 metri di pura estasi surfistica fino a quando il ginocchio, dolorante per la torsione, non mi “inviti” a riprendere la posizione di andatura consueta. Bellissimo una sensazione unica: forse è così per ogni “ultima”, ma questa mi sembra davvero in assoluto la più intensa ed appagante che abbia mai sperimentato…

Anche le ragazze sono caricatissime. Forse confortate dalla presenza in acqua della loro amica “pro” Barbara, surfano con grande ardore. La sera precedente Luca ed io le avevamo “bombardate” con 2.000 nozioni tecniche e piccoli trucchi sulla strambata e loro sono entrate in acqua ben decise ad applicarli e a chiudere finalmente una bella power. Palma è molto più disinvolta dei giorni precedenti, Elena surfa con il consueto stile armonioso e potente al tempo stesso. Le vedo entrambe chiudere alcune strambate. L’uscita in planata è ancora un po’ lontana, ma il movimento complessivo della manovra è diventato per tutte e due molto più fluido ed armonico. Se ne rendono conto ed infatti anche loro escono dall’acqua provate, ma felici. I loro occhi sono luminosi e trasmettono tutta la loro gioia per le sensazioni vissute.

Abbiamo trascorso un’altra bellissima giornata. Anzi, di più: una giornata di quelle che segnano una svolta nelle nostre personali “carriere” surfistiche. Una giornata di quelle che rimarranno per sempre impresse in modo indelebile nelle nostre menti e nei nostri cuori…

… Dopo esserci riposati e “preparati”, usciamo per un’altra sera di esplorazione di Santa Maria. Nei numerosi vicoli e vicoletti che la caratterizzano ci imbattiamo in un bel ristorantino: il Piscador. La cena si rivela come la top della vacanza: mangiamo pesce favoloso. Il clou è il sashimi di tonno, ma anche il carpaccio è veramente squisito. E’ la degna conclusione di una giornata perfetta…

Day 5

Ci risvegliamo al mattino di ottimo umore e, personalmente, anche più in forma di quel che mi potessi aspettare dopo la brillante e prolungata performance del giorno prima. Durante la colazione intuiamo che il vento anche oggi si presenterà bello teso. Ci alimentiamo dunque a dovere (per me due panozzi con formaggio e prosciutto cotto, tre fette di ananas, tre fette di torta che farcisco con una deliziosa marmellata ed “n” bicchieri di succo di frutta), in preparazione a quella che si prospetta come un’altra giornata top.

Arrivati in spiaggia, la lavagnetta appesa alla parete del centro surf recita: “Wind: 4-5 Beaufort; Waves: Small (2 m)”: ..azzarola, penso tra me, se 2 metri qui sono considerate small, chissà come sono le “regular”!…

Luca è già in fibrillazione. Come al solito si fa un baffo del mio consiglio di attendere che il vento aumenti un po’, arma la 5,8 ed entra in acqua. Io, che ho qualche annetto di più sul gobbo ed una resistenza fisica decisamente inferiore, mi oriento più saggiamente su un’attesa. Mi sdraio quindi su un lettino, con lo scopo di provare a rimediare all’antiestetica abbronzatura da “ciclista” che mi è venuta surfando 3 giorni con il mutino, rilassandomi e godendomi il calore del sole che entra nelle ossa. Rivedo il film della mia giornata di ieri, dove tutte le manovre effettuate riaffiorano alla mia mente e me ne fanno rivivere l’emozione. Ogni tanto mi capita anche d’abbioccarmi, ma tant’è… Verso mezzogiorno viene l’ora di entrare. So di avere non più di un paio d’ore di autonomia e cerco di giocarmele al meglio. Il vento, preciso come un orologio svizzero, ha aumentato la sua intensità e ora una misura attorno alla 5,3 è la più indicata. Opto per la Disco: rispetto alla Superstar è leggermente più potente e reputo che ciò mi possa aiutare nella zona wave, dove ho intenzione di recarmi e dove ho sperimentato che il vento spesso è “coperto” e smorzato dall’altezza delle onde. La mia indole di “saltatore” oggi potrà avere finalmente libero sfogo, dopo i giorni precedenti in cui è stata “costretta” a contenersi per soddisfare la mia esigenza di perfezionamento dello stile e delle manovre in acqua piatta.

Faccio il lungo bordo che separa il centro surf dalla zona wave, attraverso la zona di acqua piatta e comincio ad affrontare le prime ondine. Da lì in un attimo sono in mare aperto: le onde si fanno improvvisamente più alte e consistenti, il colore del mare diventa di un blu inquietante. Il cuore comincia a battere forte: ci siamo! Mi guardo in giro e vedo altri due surfisti che, come me, desiderano misurarsi con le onde: bene, un po’ di compagnia è sicuramente tranquillizzante. Comincio a macinare bordi, cercando di “studiare” come “funzionano” questi flutti. L’apprensione è sempre forte: alcune onde sono veramente alte ed imponenti, spesso cado e faccio fatica a ripartire perché in mezzo a quel “caos” di cavalloni che si incrociano non riesco a prendere il vento. Inoltre sono veramente in mare aperto e inevitabilmente il pensiero degli squali si fa sempre più preoccupante, soprattutto quando mi capita di trovarmi ad essere il più “al largo” del terzetto di surfisti presenti. A poco a poco però mi rinfranco, acquisisco una maggiore consapevolezza dei miei mezzi così come una discreta “conoscenza” delle condizioni del mare. Comincio a surfare più sciolto, vado alla ricerca di bei trampolini su cui saltare. Non è così semplice perché qui in mare aperto le onde si formano e si disfano davvero con una rapidità impressionante e così spesso mi capita di vedere un bel “dente”, di puntarlo e di vederlo svanire sul più bello proprio mentre sto per imbeccarlo. Che rabbia! Nonostante ciò riesco a fare qualche bel salto. In particolare ne ricordo uno: un trampolino altissimo si era formato proprio davanti a me, un po’ troppo all’orza forse, ma troppo invitante per rinunziarvi. Mi ci sono gettato con tutta la velocità che avevo e sono andato su. Per un attimo sono rimasto sospeso in alto, nel vuoto e poi sono “precipitato” in una discesa che sembrava non avere fine a causa del profondo avallamento che si era formato dietro l’onda. Frazioni di secondo che sembrano una vita: per un istante ti senti leggero, quasi senza peso, prima che la forza di gravità abbia di nuovo il sopravvento e ti trascini in basso: un ‘emozione bellissima.

Provo anche a surfare qualche onda, ma il fatto che esse “spariscano” letteralmente sotto la tua tavola limita un po’ il piacere della surfata. Comunque cerco, nel limite delle mie possibilità, di “salire e scendere” da questi flutti dispettosi, conscio che ciò rappresenti un allenamento che tornerà sicuramente buono in future occasioni. Segnalo anche l’incontro con un bellissimo pesce volante, che ha condiviso con me un lungo bordo, volandomi letteralmente di fianco per diverse centinaia di metri: emozionante! Certo non tanto quanto ciò che è capitato a Luca. Pure lui infatti ha avuto la fortuna di incontrare un pesce volante, con il quale ha ingaggiato una gara esaltante. Peccato che il povero pesce non abbia rispettato le precedenze e nell’ingaggio in strambata e così Luca lo ha centrato in pieno mentre stava “impostando” la manovra: chissà se a quest’ora è ancora vivo…

Dopo un paio d’ore sono stremato. La voglia è ancora tanta e l’idea di lasciare lì tutto quel ben di Dio mi rammarica un po’. Ma sono veramente stanco e quindi prudentemente mi riporto nella zona di acqua piatta, dove con un lungo e veloce bordo faccio ritorno al centro surf. Anche oggi “ho dato”: è stata un’altra bellissima giornata. Nel frattempo gli altri, che si erano fermati per mangiare qualcosa, rientrano in acqua riprendendo a macinare bordi e manovre in quella meravigliosa “piscina” d’acqua cristallina che è il mare antistante a noi.

… Sono esausto. Veramente distrutto. I muscoli delle braccia mi provocano dolori lancinanti, mentre le vesciche sulle mie mani mostrano ormai strati dell’epidermide di un rosso scuro che dà la misura della profondità a cui sono giunte. Comincio a non sentirmi bene. Bevo, mangio qualche biscotto, mi sdraio su un lettino. La sensazione di miglioramento è solo temporanea. Più tardi infatti comincio ad avvertire sintomi di nausea. Mi “auto-diagnostico” un malessere dovuto ad eccessiva stanchezza procurata dallo sforzo fisico in acqua acuito dall’influsso del sole cocente. Faccio fatica a stare in piedi. Rientro in camera e mi butto sul letto. Scotto, ho sicuramente la febbre. Dormo un paio d’ore e al risveglio mi sento un po’ meglio. Faccio la doccia, ma rinuncio ad uscire con gli altri. Mi sdraio nel letto e mi riaddormento. Mi desterò il giorno successivo verso le 7: alla fine avrò dormito più di 12 ore!...

… Quella che mi sono persa è stata la serata più “etnica” della vacanza. Elena nel pomeriggio aveva “agganciato” alcune ragazze romane che vivono lì gestendo un’agenzia immobiliare e aveva concordato di cenare con loro. La parte “sana” della nostra spedizione si aggrega quindi a questo gruppetto di “emigranti” e, assieme ad una amica indigena di queste ultime, si recano a mangiare in un locale molto “rustico”. I racconti mi parlano praticamente di una casa, dove i nostri hanno cenato in quella che sembrava la sala da pranzo, con la padrona di casa seduta nella poltrona di fianco al loro tavolo che si guardava beatamente la televisione intanto che loro mangiavano!… Molto “cool”, alla faccia di “quelli coi braccialetti” (come, con un “velo” di ironia, definivamo i turisti accomodati nei villaggi…), e un’altra serata da ricordare…

Day 6

Sabato c’è ancora vento. Io mi sono abbastanza ripreso e il grande appetito a colazione ne è il segnale più evidente. Dopo la serie incredibile dei giorni precedenti pensavo di averne abbastanza di windsurf, ma la vista del mare e delle bandiere tese come sempre mi dona nuova energia. Almeno a livello mentale, perché fisicamente sono veramente “alla frutta”. Muscoli stanchi, acciacchi da tutte le parti: eredità di 5 giorni di intense surfate.

Luca naturalmente entra subito, io decido di giocarmi le due ore centrali. L’intensità del vento è leggermente inferiore. Entro con la Disco 5,9. O meglio, cerco di entrare, perché come provo ad afferrare il boma, le vesciche alle mani mi provocano un dolore lancinante: non credo di potercela fare!.. Però mi sovviene di avere i guanti con me. Li vado a prendere nella borsa sotto l’ombrellone, senza troppa convinzione a dire la verità. Invece il rimedio si mostra subito efficace e il dolore quasi svanisce. Anche durante le manovre, quando maggiore è la trazione del boma sulle mie povere mani, non avverto quasi niente. Surfo in totale serenità e rilassatezza, facendo lunghi bordi e tranquille strambate. A volte mi ritrovo ad inspirare profondamente, quasi a cercare di “assaporare” fino all’ultimo quelle meravigliose sensazioni che per un po’ di tempo potrò solo ricordare… Non arrivo a fare due ore, ma sono appagato. Esco per l’ultima volta da quel mare caldo e cristallino felice, “pieno”: il nostri sogni si sono realizzati…

…Parlando con Sidney, veniamo a sapere di una baia chiamata Shark Bay (il nome non lascia niente all’immaginazione..), dove è frequente che gli squali vengano alla sera a cibarsi e quindi risulta possibile vederli anche da riva con buona probabilità. Attirati dall’idea, affittiamo un taxi e ci facciamo condurre là. Ci arriviamo dopo aver attraversato un tratto di deserto “vero” (e non della semplice sabbia e pietraia diffusa come nel nostro precedente giro dell’isola): davanti a noi si apre un luogo veramente suggestivo. Una grande baia esposta al vento, che qui arriva regolare e costante oltre che sicuramente più forte rispetto alla zona del nostro centro surf. Vediamo alcuni kite in acqua e quindi capiamo subito che qualcosa “che non torna”. In effetti veniamo a sapere da un capoverdiano incontrato lì che gli squali giungono fino a riva solo d’estate, durante il periodo in cui le tartarughe depongono le uova e sono quindi più facile preda dei voraci abitatori degli abissi. Non assistiamo quindi allo spettacolo che auspicavamo, ma non siamo rammaricati: comunque abbiamo potuto visitare una località affascinante e fuori dai tradizionali itinerari turistici.

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Il deserto sulla strada verso Shark Bay

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Shark Bay

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Ecco perchè gli squali vengono qui...

 

… La sera assecondiamo nuovamente le indicazioni delle nostre “guide” locali e ceniamo in minuscolo ristorantino gestito da un francese: praticamente la sala è uno stretto corridoio in cui, quando quelli del tavolo più interno devono uscire, tutti gli altri commensali si devono alzare per lasciarli passare!.. Però è molto caratteristico, il menù tradisce l’origine dello chef e la qualità del cibo veramente eccellente. Al termine della cena salutiamo le nostre amiche e facciamo rientro in hotel, ad eccezione di Elena, che spara le ultime cartucce di mondanità andando a bere qualcosa con le ragazze al Tam Tam.

Day 7

E’ il giorno della partenza. Il taxi ci attende di buon ora (6,45 am) per condurci in aeroporto. Io recupero il mio prezioso trapezio dimenticato il giorno prima al centro surf e quindi ci muoviamo. In aeroporto ritroviamo tutta la gente presente sul nostro volo in andata (…sì, quelli con i “braccialetti”…): Rimaniamo un po’ costernati: ci sono persone bianche cadaveriche, altre rosse come pomodori di Pachino, altre già preda di un incipiente processo di “desquamazione”!... Ritroviamo i nostri amici dell’andata: le due “cremine”, un po’ provate da alcuni “tradizionali” effetti collaterali e Claudio. Ci racconta che di kite purtroppo ne ha fatto poco: sarà, lo sguardo “furbetto” che traspare dal suo occhio azzurro mi fa pensare che abbia preferito dedicarsi ad altre “attività sportive”…

Ci imbarchiamo. L’aereo parte in orario ed in orario atterriamo a Bergamo, dopo un volo tutto sommato tranquillo. Quando mettiamo il piede a terra ci rendiamo conto che è davvero finita. Ma non siamo tristi: di più non potevamo chiedere a questa vacanza. In auto, sulla strada del ritorno ritrovo il solito snervante traffico e percepisco la tensione quasi palpabile che aleggia sulle persone che vedo intorno a me. Per fare 24 km impiego un’ora e un quarto: bentornato a casa zio Ricky...

Personaggi ed interpreti

Come mio costume vi faccio una breve carrellata dei protagonisti di questa avventura

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Da sinistra: Luca, Elena, Barbara e Palma

 

Elena

La new entry (almeno per me). Luca e Palma me l’avevano descritta come una surfista veramente caparbia e tenace, e come una donna vivace ed attiva. La descrizione (per la verità Luca aveva “sintetizzato” il tutto in un termine molto azzeccato ma che purtroppo non posso riproporre perché verrebbe asteriscato…) obiettivamente si è dimostrata calzante, seppur parziale. Elena è stata per tutta la vacanza l’anima del gruppo. Approcciava ogni persona che si trovava di fronte e faceva la sua conoscenza. Se avesse potuto, avrebbe parlato anche con i muri delle case (lei che è del settore) e si sarebbe fatta raccontare tutte le storie che si erano svolte di fronte ad essi. Cordiale ed espansiva all’ennesima potenza, ti metteva in condizione di raccontarle la storia della tua vita cinque minuti dopo che l’avevi conosciuta. In acqua “stilosa” e decisa, manteneva queste caratteristiche anche fuori. La sera usciva sempre molto curata e con look ben studiati. Nulla era lasciato al caso ed il suo beauty era di gran lunga più rifornito del mio (e di certo ce ne vuole…). Del resto lo avevo sospettato fin da subito: invece del sacco all’americana che mi ero immaginato, date le descrizioni che mi avevano fatto di lei, si è presentata all’imbarco con una Samsonite rigida da 25 kg!: qualcosa dovrà aver pur significato… Tutto ciò premesso, di comune accordo abbiamo convenuto che l’aggettivo più appropriato per qualificarla in estrema sintesi fosse “radical-chic”. E così è stato. Autonoma, indipendente, propositiva, ha rappresentato un punto di forza del nostro team, consentendoci, grazie al suo carisma e alla sua curiosità, di addentraci ed integrarci profondamente nella vita e nella realtà locale.

Palma

Degna “spalla” di Elena nelle relazioni sociali ha vissuto una vacanza più “tranquilla” rispetto al suo solito. Ha patito un po’ il mal di schiena che l’ha afflitta nei primi giorni, forse a causa della mancanza di abitudine nell’utilizzare il trapezio a fascia. Grintosa e caparbia come al solito, in acqua ha messo a punto una personalissima variante della strambata power, inserendo dopo le fasi di poggiata, distensione del braccio dell’albero e piegamento in avanti, una sonora e fragorosa risata, che purtroppo il più delle volte sortiva un effetto deleterio sul prosieguo della manovra. Sempre luminosa e solare, ha intessuto una serie di contatti logistici locali che torneranno sicuramente utili in occasione di visite future nell’isola. Anche lei come di consueto molto attiva e propositiva ha contribuito in modo determinante a farci sperimentare una Capo Verde da veri local.

Luca

Ovvero “The Machine”. Oppure “Il Robot”. Oppure “Il Moto Perpetuo”. Insomma, come vedeva le bandiere sventolare distese non riusciva più a controllarsi. Come intravedeva la possibilità di fare una planata si buttava in acqua, incurante della “gestione” della giornata. Anche perché, in effetti, per lui essa non rappresentava un problema, essendo in grado di resistere tranquillamente surfando 5 o 6 ore consecutive! Alla visione del vento il suo volto si illuminava come quello di un bambino alla vista di un gelato gigante e di ritorno dalle sue sessioni ci gustavamo il suo totale godimento, mentre la sua lingua si allungava fino a poter essere arrotolata al collo come una sciarpa….

Pietoso nei confronti degli altri commensali durante la serata “Eat all what you can!” (probabilmente perché non un grande amante della pasta), come da tradizione ha sempre fatto onore al buffet della prima colazione così come ai vari piatti consumati nei diversi ristoranti visitati. E’ stato l’unico a tradire al ritorno un vero velo di tristezza per la fine della vacanza e già la domenica sera i suoi seppur freschi ricordi hanno dovuto lasciare spazio alla tormentosa tensione dell’attesa per la prossima surfata…

ZioRicky

Non potrei essere stato più felice per aver tacitato la mia coscienza (che mi spingeva a focalizzarmi sulle mie questioni lavorative) ed aver così potuto partecipare a questa vacanza. Ho goduto appieno di ogni aspetto di essa: dal windsurf, alla cultura, al costume, alla gastronomia, alle relazioni sociali. E’ vero, ogni tanto mi “estraniavo” e mi rinchiudevo, seppur involontariamente, nei miei classici e tenebrosi silenzi. Probabilmente era un meccanismo di difesa di fronte ad un’espansività generale superiore alle mie usuali possibilità di gestione. Abbiamo incontrato tanta gente, tanti surfisti. Per lo più persone che vivono il surf come stile di vita e ad esso piegano ogni aspetto di essa. Persone che si sono trasferite lì (magari temporaneamente) e che indubbiamente ammiro per il coraggio avuto (c’era un ragazzo italiano che di giorno trovavamo in acqua a surfare mentre la sera lo vedevamo lavorare come imbianchino e dipingere i muri delle case…). Ma che sono fuori dal mio modo di interpretare l’esistenza. La loro esuberanza, la loro spavalderia, la loro “brillantezza” spesso mi intimorivano. E mi incupivano un po’. Non ho ancora capito se per una “inconscia” invidia o perché invece acuivano la mancanza del clima altrettanto goliardico ma “amico” dei miei Parassiti. Comunque ho trascorso giorni bellissimi, con una compagnia molto gradevole, in un posto magico: cosa desiderare di più…

Barbara

La “pro”, come usavano chiamarla le sue amiche Palma ed Elena. Surfista romana, a Santa Maria è ormai una local. Questa infatti era già la terza volta che si faceva vedere nella repubblica capoverdiana quest’anno. Preziosa come compagna di avventure per le sue molteplici conoscenze in loco, attraverso di lei ci siamo procurati molti agganci che torneranno di sicuro utili in occasione di eventuali future visite a Sal. Surfista di ottima qualità (l’abbiamo potuta vedere esibirsi in alcune ottime duck jibe), era il punto di riferimento delle altre ragazze in acqua. Merita indubbiamente la nostra ammirazione per la sua passione e la sua caparbietà. E’ stata l’unica infatti, a portarsi la propria attrezzatura dall’Italia (viaggiando da sola, con tutte le conseguenze del caso, a mio giudizio più negative che positive), facendo per una settimana la vita da vera surfista “radical”. Innamorata del posto (e di uno del posto…), l’abbiamo vista piangere di commozione (si fa per dire ovviamente…) la sera della sua partenza: ah Barbare’, dai nun fa’ così: l’hai conosciuto tre giorni fa!!…

Nota: un ringraziamento particolare a Luca, autore delle foto più belle di questo report.

 

Zio Ricky